Speciale 8 marzo

Per la Giornata internazionale della donna – giornata di lotta più che di festa – pubblichiamo alcuni contributi, alcuni dei quali provenienti da altri paesi tradotti generosamente dalla compagna Ada Donno e due scritti dalle giovani compagne Andrea Chiara e Giusi Greta Di Cristina. Questa pagina apre con una bellissima poesia della compagna Maria Carla Baroni e un articolo scritto a due mani con il compagno Alexander Höbel, volto in particolare a proporre un metodo e una riflessione da riprendere nel nostro Partito. E infine una dichiarazione con cui le amiche della Casa delle donne di Torino dedicano questo 8 marzo alla lotta in difesa della 194 e per il diritto delle donne a una gravidanza consapevole. Tutto accompagnato dai meravigliosi disegni che l’illustratrice Anarkikka ha realizzato per gli 8 marzo degli ultimi anni e dal bel manifesto realizzato dai giovani compagni del Dipartimento comunicazione del Partito che riprende l’articolo 37 della Costituzione: “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore”.

Anche questo 8 marzo, come tutti i giorni dell’anno, dedichiamo le nostre forze per sostenere e far conoscere le lotte passate e presenti delle donne, lo dedichiamo a Berta Cáceres e alle donne che difendono la natura e l’umanità, alle donne migranti, alle donne che resistono alla guerra, alle ingiustizie, alle violenze, alle umiliazioni, alle sopraffazioni, al patriarcato, alle donne che lottano per un altro mondo possibile fatto di pace e di uguaglianza.

Naturalmente la pagina è aperta all’invio di ulteriori materiali da parte di tutte le compagne e di tutti i compagni.

Milena Fiore

             Una poesia di Maria Carla Baroni

Marzo 1911 – Marzo 2011

Centoventinove operaie

serrate come bestie nelle stalle

fuse a macchina d’opaca fatica

intrise di incendio

saltate dalla fabbrica in fiamme

su un terreno di rapida morte

nella lontana New York.

Per cent’anni l’otto marzo

fiamma di donne nel mondo

per multiformi lotte

8 marzo, una grande storia e i nuovi orizzonti

di Milena Fiore e Alexander Höbel

L’origine dell’8 marzo è legata indissolubilmente alla storia del movimento operaio, socialista e poi comunista. Fin dall’inizio la giornata fu intesa come una giornata di lotta, nella quale si affermavano con forza le rivendicazioni delle donne per l’emancipazione e il diritto di voto. Nel 1910 la Conferenza internazionale delle donne socialiste svoltasi a Copenaghen discusse dell’opportunità di istituire una giornata internazionale della donna, che in alcuni paesi fu celebrata già l’anno successivo, in date diverse dall’8 marzo: in Francia, ad esempio, le manifestazioni si svolsero il 18 marzo, nel 40° della Comune di Parigi. Nel 1913, il 3 marzo, l’iniziativa fu presa in Russia dal Partito bolscevico. Quattro anni dopo, l’8 marzo 1917, gli stessi bolscevichi organizzarono una nuova manifestazione a San Pietroburgo, con la parola d’ordine della fine della guerra: fu l’inizio della Rivoluzione di febbraio, e proprio per questo quando, nel 1921, la seconda Conferenza internazionale delle donne comuniste istituì una “giornata internazionale dell’operaia”, fissò la data all’8 marzo.

In Italia, la Giornata internazionale della donna fu celebrata per la prima volta il 12 marzo 1922, su iniziativa del Partito comunista d’Italia, nella prima domenica successiva all’8 marzo, e in quegli stessi mesi Camilla Ravera, che sarà segretaria del Partito senza scandalizzare nessuno, fondò il periodico “Compagna”, che si affiancò agli altri giornali della stampa comunista. E forte fu sempre l’attenzione di Antonio Gramsci alla questione femminile, concepita come questione centrale per tutto il partito. Negli anni del fascismo e della clandestinità la Giornata della donna finì per scomparire. Essa tornò alla luce soltanto nel 1944, allorché nella parte del Paese già liberata dal nazifascismo, su iniziativa del Pci fu costituita l’Udi, Unione delle donne italiane, la quale decise di celebrare nuovamente l’8 marzo.

Negli stessi giorni nell’Italia occupata i grandi scioperi operai davano una forte spallata al regime. L’anno successivo, su iniziativa di donne comuniste come Lina Fibbi, l’iniziativa fu ripresa anche nella parte del paese ancora sotto il giogo nazifascista.

Ricorderà Lina Fibbi:

L’8 marzo 1945 i tedeschi erano inferociti perché erano già in ritirata. […] era la Giornata internazionale della donna. Allora chiedemmo a Longo se avesse qualche idea e lui disse: “mandiamo le donne sulle tombe dei partigiani caduti e facciamo in modo che si possano riconoscere”. Inventammo così il simbolo dell’8 marzo: la mimosa. E fu Longo a invetare la mimosa! La scelse perché è un fiore che si trova facilmente […]. E quel giorno, quell’8 marzo 1945, al Cimitero monumentale di Milano c’erano moltissime donne, tutte con la mimosa, e i tedeschi erano impazziti perché non potevano dire niente […] fu un episodio formidabile. (Guido Gerosa, “Le compagne”, Rizzoli 1979, p. 111)

Un’altra versione dei fatti sostiene invece che fu Teresa Mattei, che sarà tra le costituenti elette nelle file del Pci nel 1946, a convincere Longo dell’uso della mimosa, mentre il leader comunista avrebbe preferito le violette, già in uso nella Francia del Fronte popolare. In ogni caso, dopo la Liberazione, l’idea di celebrare l’8 marzo col simbolo della mimosa fu rilanciata dalle donne comuniste.

Speciale 8 marzo

«La mimosa era il fiore che i partigiani regalavano alle staffette. Mi ricordava la lotta sulle montagne e poteva essere raccolto a mazzi e gratuitamente […]. Quando nel giorno della festa della donna vedo le ragazze con un mazzolino di mimosa penso che tutto il nostro impegno non è stato vano» Teresa Mattei

Per tutto il dopoguerra, l’8 marzo fu celebrato con grosso impegno dall’Udi, dalle altre forze progressiste e da tutto il movimento operaio. Ma soprattutto ebbe inizio un lavoro di elaborazione e iniziativa politica (si vedano i discorsi di Palmiro Togliatti sull’emancipazione femminile, le battaglie di Teresa Noce per la parità salariale, quelle di Angiola Minella Molinari e Marisa Cinciari Rodano per l’assistenza alla maternità e all’infanzia, ecc.) che, per quanto riguarda le comuniste e i comunisti, ebbe i suoi luoghi principali nell’Udi, nella Commissione femminile del Partito e nelle Conferenze delle donne comuniste. Fu ad esempio nella IV Conferenza delle donne del Pci, nel 1965, che l’impegno del Partito in favore del divorzio fu affermato per la prima volta, in particolare nelle relazioni di Nilde Iotti e Luciana Castellina, le cui istanze furono poi riprese dal segretario generale, Luigi Longo. Ma già un anno prima il tema era emerso in un interessantissimo seminario organizzato dall’Istituto Gramsci su “Famiglia e società nell’analisi marxista”, con relazioni tra le altre di Umberto Cerroni e Franca Pieroni Bortolotti sul rapporto famiglia-società e di Luciana Castellina sull’esperienza sovietica in questo campo.

A tale proposito va rilevato come oggi, mentre i problemi della famiglia si pongono in modo totalmente nuovo, come comuniste e comunisti non abbiamo una nostra elaborazione che ci consenta di intervenire nel dibattito con una nostra posizione autonoma, in grado di andare oltre la contrapposizione tra diritti individuali e della coppia e mercificazione del corpo femminile emersa ad esempio nella discussione su adozioni, step-child e “utero in affitto”. E’ importante invece che proprio partendo dai numerosi esempi presenti nella storia dei comunisti, anche oggi si porti avanti un lavoro teorico collettivo che  consenta di porci all’altezza dei problemi attuali e intervenire così in modo incisivo nella realtà.

I temi all’ordine del giorno non mancano: dalle conquiste dei decenni passati messe in discussione o apertamente sotto attacco (dal diritto all’aborto, alla parità salariale e in generale all’eguaglianza di lavoratrici e lavoratori) ai nuovi temi emersi negli ultimi anni (migrazioni di massa, nuove forme di colonialismo, schiavismo e mercificazione dei corpi, ma anche nuovi modelli familiari e ruoli sociali, ecc.). Anche a partire da questi temi, visti sotto una lente diversa da quella dei media mainstream, si conferma l’anacronismo dell’assetto capitalistico e patriarcale della società, e di converso l’esigenza di una società nuova, più avanzata. La lotta per il socialismo può acquisire dunque nuovo impulso dalla riappropriazione di una grande storia – di cui la Giornata internazionale delle donne fa parte a pieno titolo, e che ha visto ad esempio in Unione sovietica progressi straordinari anche sul terreno dell’emancipazione femminile e del diritto di famiglia -, dalla riscoperta del notevole patrimonio di elaborazione del movimento operaio e delle donne, e infine dalla consapevolezza di quanto in altre zone del mondo si muove sul terreno culturale e sociale per un’emancipazione di genere mai slegata dall’obiettivo di classe dell’emancipazione più generale dell’umanità intera.

 Speciale 8 marzo

Parolacce di ieri, di oggi e (spero non) di domani

di Andrea Chiara

Recentemente ho letto un articolo molto interessante sull’evoluzione delle cosiddette ‘parolacce’ nel nostro linguaggio; come tutto il lessico corrente esse si evolvono, cambiano perdendo o acquistando significato. È molto probabile che termini che 30 anni fa avrebbero fatto storcere la bocca ai nostri nonni, ora sono accettati e considerati normali, quasi quotidiani.

C’è una parola però che oggi, dopo decenni, se non secoli, ha ancora lo straordinario potere di far nascere il disappunto sui volti di persone di ogni sesso, età ed etnia… Ovviamente si tratta di “femminismo”.

Nonostante questo termine oscuro e misterioso indichi un movimento di uguaglianza e conquista di diritti, sembra che la maggior parte delle persone, uomini e donne, considerino le femministe una specie di setta che ha come unico scopo la distruzione e l’umiliazione di tutto il sesso maschile, come se questa dovesse essere una vendetta per i soprusi che il ‘sesso debole’ ha subito per secoli, e che subisce tutt’oggi.

Mi chiedo se tutto ciò dipenda da noi: se un mondo in cui (fortunatamente, a mio avviso) il sesso sta diventando sempre di più un argomento di conversazione, possa accettare che l’uguaglianza, la parità dei diritti, la rivendicazione di un’identità e di un rispetto che da tanto (davvero tanto) ci meritiamo, possa essere un tabù.

Sento tutti i giorni ragazze e donne indignarsi e smentire categoricamente chi le ha chiamate femministe per un’affermazione, talvolta neanche troppo progressista come per esempio la manifestazione della propria volontà di voler lavorare, o di non volersi sposare e mi chiedo fino a che punto oggi possa arrivare la disinformazione, la manipolazione dei media: che fanno apparire autoritaria, poco attraente e, ancora più degradante, poco femminile qualunque donna abbia una sua opinione indipendente su un qualsiasi argomento che non sia la moda, la famiglia o la casa.

Questo secolo si muove a una velocità spaventosa per moltissime cose, ma non in materia di giustizia, anzi sembra che queste altre ‘cose’ ci distraggano dalla lunga scalata verso la conquista di diritti che fino a qualche anno fa sembravano quasi più vicini di quanto non lo siano ora; come se la tecnologia e il progresso incarnassero una nuova idea di ‘panem et circenses’.

Nonostante ciò, penso che le nuove tecnologie, in particolare internet, abbiano favorito molto la diffusione di idee positive. Sono numerosi i siti internet e i forum in cui si ‘riuniscono’ donne e uomini che si battono insieme per la parità dei sessi: infatti, finalmente si stanno muovendo i primi piccoli grandi passi non verso l’uguaglianza, ma almeno per fare di essa un argomento di conversazione che non renda accigliate le donne, e scocciati e annoiati gli uomini.

Speciale 8 marzo

Anarkikka, 2014

Voglio raccontarvi una storia.

di Giusi Greta Di Cristina

Durante il secondo Dopoguerra, dappertutto in Europa si passò al piano delle “epurazioni”: punire tutti coloro che ebbero a che fare col comune nemico tedesco, a prescindere dalle evoluzioni storiche dei governi dei Paesi. Si suggerì di punire in alto e perdonare in basso, si scelse di distinguere tra crimini particolarmente efferati ed altri, invece, ritenuti condonabili. Ma ciò che si realizzò fu altro: i potenti servivano, a costo di perdonar loro il grave passato da collaborazionisti.

Nessuna donna era al potere, allora. E nessuno fu disposto a farsi venire almeno un mal di testa per quello che le donne avevano subito e continuavano a subire.

Gli stupri di massa, individuali o in gruppo, rappresentano una delle azioni più frequenti effettuate ai danni delle donne europee di ogni nazione e compiuti da soldati di tutte le formazioni, di tutti gli eserciti: i tedeschi violentarono a migliaia le donne dell’Est, i russi le tedesche per vendicarsi, gli Alleati le italiane come bottino per averle liberate..

Dagli stupri nacquero migliaia di bambini, detti “della guerra”, altrettanti vennero uccisi appena nati per la vergogna o per la rabbia.

Oltre agli stupri, vi furono le donne che si unirono liberamente, per scelta, ai soldati coi quali ebbero storie d’amore: queste ultime portarono, a fine guerra, il marchio di traditrici e puttane, perché mai come il Secondo Conflitto mondiale una guerra fu tanto sessualizzata. Il maschio teutonico aveva penetrato la Francia, l’Italia, l’Olanda, la Norvegia, Paesi rappresentati come donne nelle vignette dell’epoca, come Sartre avrà modo di affermare. Donne deboli, vendute al nemico, da segnare rapando loro la testa, costringendole ad andare nude in giro o sulle jeep della polizia, massacrandole di insulti, quando non uccise dalla folla inferocita.

Cosa cambia tra l’essere stuprate, nel corpo e nell’anima, da dei soldati e l’essere marchiate a vita per una scelta propria?

Difficilmente una donna stuprata fu accolta dalla società, indennizzata per quel che aveva passato, aiutata dalla sua comunità o dallo Stato. Spesso non raccontava neppure quanto subito, per paura delle reazioni. Entrambe le disgraziate categorie furono considerate sciagurate, rifiutate dalle loro famiglie, dagli eventuali mariti, ripudiate dagli organismi statuali e religiosi.

Al di là di una generica e superficiale compassione diffusa, vera o presunta, nessuno osò punire chi si era macchiato di questi crimini. E tantomeno nessuno pensò di considerare un diritto, quello della donna, di poter amare chi le pareva.

Un giornale dell’epoca scrisse: “Nella donna si fonda la Patria. Attente, donne, a non tradirla!”. Gli uomini, al ritorno dalla guerra, avrebbero dovuto ritrovare il talamo pronto ad accoglierli, come se la guerra nulla cambiasse a chi resta.

E non osiamo chiederci se quegli stessi uomini, altrove, avessero commesso le medesime nefandezze di cui si lamentavano.

Perché, quella, era una società maschilista. E l’uomo si sentì defraudato, offeso, inorridito da questa donna che aveva preferito l’alterità, lo straniero, col suo carico di novità. Era un rifiuto non solo dell’uomo italiano, ma delle tradizioni, della cultura, e delle modalità persino affettive – oltre che sessuali – a cui l’avevano educata.

Era rifiuto del padre, del fratello, del fidanzato e della Patria, appunto, che in quanto entità virile è al maschile.

Vi chiederete perché vi ho raccontato questa storia.

L’8 marzo è un giorno molto particolare: lungi dal ricordare, più o meno a tutti, che non si tratta di una festa, perché si commemora un momento molto triste, negli ultimi anni si è trasformato nel dibattito aperto fra differenti fazioni che, tipico dei tempi dei social, si urlano le loro ragioni.

C’è da una parte chi commemora, donne e uomini, ricordando l’eccidio in particolare e tutti gli eccidi a danno delle donne tutt’oggi in corso, e si offende anche dinanzi al dono delle mimose.

Da un’altra abbiamo un altro gruppo, costituito da donne, che considerano l’emancipazione il poter fare “le cose da uomini”, della serie andare in un locale, bere e mettere i soldi dentro alle mutande di uno spogliarellista.

Dall’altra ancora il gruppo degli uomini che aborrono quest’ultimo comportamento, ricordando alle donne che “l’8 marzo non è questo”.

Ora: che collegamento può avere la storia che vi ho raccontato con quel che succede ai giorni nostri?

Tralascio l’analisi sul primo gruppo: ricordate, ricordate più che potete e raccontate.

Più interessante, da un punto di vista storico e sociologico, si presenta l’analisi delle altre due categorie, per le quali trovo delle affinità con le vicende del Dopoguerra.

Ora come allora il problema vero non riguarda affatto la commemorazione. Lungi dal ritenere un bel passatempo recarsi a vedere uomini sculettanti (Dio, quanta tristezza dover pagare qualcuno per uno stupido appetito vouyerista), nutro i miei seri dubbi che questi uomini bacchettoni conoscano quello che propagandano. Ora come allora i due gruppi, donne e uomini, si mostrano staccati, entità contrapposte, dinanzi a un problema che ha a che vedere con la sessualità scelta, esibita, addirittura comprata e consumata!

Il problema è che questi due gruppi, uomini e donne insieme, rappresentano una società in cui sembra soltanto di aver raggiunto un equilibrio egualitario e condiviso, rispettoso e comprensivo, delle scelte di vita, affettive e sessuali.

E come allora la sessualità si inseriva nelle dinamiche di guerra, intessendone linguaggio e decidendo azioni individuali e collettive, anche oggi la sessualità entra di forza nelle politiche governative, dando vita a realtà in cui diritti che paiono essere ormai assodati e inalienabili corrono il rischio di un colpo di spugna.

Si può parlare, oggi, di questione femminile?

Non parlo solo di femminicidio (termine, questo, non accettato da molti “pensatori” e giornalisti nostri conterranei), sebbene anche solo questo possa ampiamente soddisfare la domanda rispetto a una questione femminile. Parlo di salari ancora più bassi rispetto ai colleghi uomini, parlo di obiezione di coscienza che ha la meglio persino su una legge, parlo di discriminazioni e molestie subite come prassi. Di questo parlo.

Quante donne si pongono questi problemi nella quotidianità della loro vita? Quante sono disposte a non scendere a compromessi, a denunciare, a ribellarsi, per se stesse e per gli altri? Perché se ancora le società umane riflettono un certo machismo tocca alle donne combattere le lotte per la loro libertà e il rispetto, ancora adesso, ove il potere insolente di certa politica liberistica fintamente pro-famiglia e l’invadenza della Chiesa, mai zittita a al contrario assecondata, minano le grandi conquiste della emancipazione femminile. Che sono conquiste di tutti, e non solo delle donne.

Cosa rappresenta l’8 marzo? È un giorno come un altro, dove abbiamo però la possibilità di ricordarci di tutte quelle donne che madri, sorelle, casalinghe o dipendenti, staffette partigiane o pensatrici colte, ci hanno dato la spinta per costruire una società dignitosamente femminile, una società a cui interessa interamente la donna. Una donna il cui utero non è per forza e non è solo maternità, ma è femminilità, coraggio, forza, dolore, futuro.

E un presente, che può essere meraviglioso, se solo sentiamo come necessario lo sviluppo del nostro essere più profondo.

Auguri donne, auguri per ogni giorno delle vostre preziosissime esistenze.

Giusi Greta Di Cristina, una donna.

Speciale 8 marzo

Anarkikka, 2013

8 marzo Giornata internazionale della solidarietà

di Regina Marques, Movimento democratico delle donne (Mdm) del Portogallo

traduzione di Ada Donno

Con il Movimento delle Donne in Movimento, con una Federazione democratica internazionale delle donne (Fdim) più forte, per trasformare la vita, trasformare il mondo!
L’8 marzo 2016, l’MDM (Movimento Democrático de Mulheres del Portogallo) saluta tutte le donne che con impegno e perseveranza hanno contribuito a fermare la corsa in atto all’impoverimento e alla violazione dei loro diritti, aprendo nuove prospettive di dignità al loro ruolo sociale, al miglioramento delle loro condizioni di vita e all’effettivo riconoscimento dei diritti delle donne come diritti umani.

Non ci sarà sviluppo sostenibile senza la partecipazione delle donne a tutti i livelli della vita politica, nel mondo del lavoro, nella protezione dell’ambiente e nella gestione dei servizi pubblici. Per queste ragioni, il Movimento Democrático Das Mulheres (MDM) fa appello a:
• la partecipazione delle donne nel continuare a svolgere un ruolo attivo nei cambiamenti sociali e politici urgenti necessari per porre fine alla discriminazione, ai conflitti armati e alle guerre.
• l’intensificazione della lotta anti-imperialista per la piena applicazione delle risoluzioni della CEDAW, dell’ECOSOC e delle Nazioni Unite per l’uguaglianza tra gli esseri umani e il diritto di tutte e tutti a vivere in pace e avere una vita dignitosa e decente.
Grazie alla lotta dei popoli e delle donne, il 20° secolo ha visto grandi progressi nel campo dei diritti delle donne in tutto il mondo.
Anche se con diversi livelli di attuazione, nel secolo scorso c’è stata una diminuzione globale dell’estrema povertà e della mortalità materno-infantile. Diversi passi positivi sono stati fatti nell’accesso delle ragazze e dei bambini all’istruzione in generale. Inoltre, il diritto alla contraccezione è stato riconosciuto in molti paesi, così come il diritto alla salute sessuale e riproduttiva, il diritto di voto, il diritto alla partecipazione politica. Si è estesa la partecipazione delle donne al mondo del lavoro e si è allargato l’accesso a tutte le professioni.
Diversi paesi hanno realizzato l’indipendenza e grandi rivoluzioni in varie parti del mondo trasformato la vita di milioni di persone. Giganteschi passi avanti sono stati fatti verso la visibilità sociale delle donne nella storia, la letteratura, le arti e la politica. Ci sono stati progressi significativi nella decostruzione di stereotipi sessisti.
Sono state conquiste difficili e dure, che hanno motivato le lotte delle donne nel mondo, ma che oggi, nel secolo XXI, sono a grave rischio di collasso, poiché stanno emergendo nuovi stereotipi e cliché, nuove guerre e nuove armi, che negano alle persone i loro diritti e oscurano le loro prospettive di avere uno status sociale dignitoso e decente.

I dati ufficiali mostrano una triste realtà che non possiamo accettare e che ci motiva a lottare. Nel mondo,
– nel 2015, la povertà estrema ha raggiunto 836 milioni di persone
– i salari delle donne sono ancora inferiori del 24% a quelli degli uomini
– 795 milioni di persone soffrono di fame cronica
– 11 bambini sotto i cinque anni di età muoiono ogni minuto
– 33 madri muoiono (di parto) ogni ora
– più di 660 milioni di persone non hanno accesso all’acqua potabile
– 780 milioni di adulti e 103 milioni di giovani di età compresa tra i 15 ei 24 anni sono analfabeti
– anche nei paesi sviluppati, 160 milioni di persone sono analfabeti funzionali.
Nel complesso, il mondo del lavoro è precario e non offre alcuna protezione sociale. C’è ancora la discriminazione salariale. La tendenza dei salari è al ribasso.
240 milioni di persone sono disoccupate, 74 milioni di esse sono giovani adulti.
830 milioni di persone sono occupate, ma vivono con meno di 2 dollari (US) al giorno.
Più di 1,5 miliardi di persone hanno lavori precari, senza condizioni decenti e sicurezza sociale.
Le donne lavorano e producono … ma ci sono ancora persistenti disuguaglianze, che ci stanno facendo arretrare. Il lavoro minorile e il lavoro forzato insieme al traffico di esseri umani sono le nuove forme di schiavitù del 21° secolo.
160 milioni di bambini sono costretti a lavorare (quasi l’11%)
Nel 2012, 21 milioni di persone in tutto il mondo sono stati vittime di lavoro forzato, della tratta a fini di sfruttamento sessuale e di lavoro pressoché schiavile. 14 milioni sono state vittime di sfruttamento economico e 4,5 milioni sono vittime di sfruttamento sessuale, per lo più donne e ragazze. I profitti illeciti da lavoro forzato sono stimati in 150 miliardi di dollari l’anno, ma anche se è illegale, questa pratica continua.
Le disuguaglianze sociali e di genere sono evidenti. La segregazione occupazionale è onnipresente e solo il 22% delle donne lavorano con funzioni dirigenziali. Le donne sono rappresentate principalmente in occupazioni con qualifica media, cioè uffici, servizi, e vendite.
L’80% della popolazione mondiale usufruisce del 6% della ricchezza del mondo, in quanto l’1% dei più ricchi possiede nel 2016 oltre il 50% della ricchezza. La ricchezza dell’élite mondiale nel 2014 è stata di 2,7 milioni di dollari per persona adulta.
Le politiche imperialistiche predatorie saccheggiano le risorse naturali dei popoli a beneficio cieci e smisurato dei profitti di monopoli e multinazionali, sono le maggiori responsabili del riscaldamento globale, dell’inquinamento delle acque, dei disastri naturali e, in ultima analisi, mettono in pericolo la vita umana e la vita in generale sul pianeta.
Un miliardo di persone sono state colpite da disastri naturali e 22.700 persone sono morte a causa di disastri naturali nel 2015.
Le guerre che si estendono in varie parti del mondo, sono i mali del nostro tempo, che profondamente colpiscono le donne e i bambini, prendendosi migliaia di vite e distruggendo le famiglie, seminando dolore e lutto, con evidente disprezzo dei diritti umani e del diritto internazionale, che ha stabilito norme di convivenza tra gli stati e i paesi sovrani. Insieme con la morte di migliaia di civili, assistiamo all’afflusso di profughi e migranti in cerca di una vita migliore in Europa, ma ai quali l’Europa oppone rifiuto e confisca dei loro beni.
Il riaccendersi di guerre e conflitti armati in Medio Oriente e Africa, così come il riemergere di forze fasciste e neo-naziste in Europa e le politiche militariste della UE e della NATO, sono una preoccupazione costante. L’intervento della NATO, non solo a scopo di difesa, ma anche complice delle crisi alimentari ed energetiche che aggravano la crisi del capitalismo e dell’imperialismo, è una costante oggi, non solo nelle zone militari, ma anche in tutti i conflitti umanitari. La NATO è una forza che agisce là dove serve all’imperialismo, in base alla nuova Concezione strategica firmata nel vertice di Lisbona del 2010. La prova di ciò sono le guerre istigate in Jugoslavia, in Ucraina e in Kosovo, come pure le navi pattuglia recentemente inviate nel Mar Egeo con il pretesto di arrestare l’afflusso di rifugiati in Grecia e Turchia e il traffico di esseri umani.
Di fatto, il dramma dei rifugiati e dei migranti in Europa riflette la guerra senza volto del nostro tempo.
Secondo l’UNHCR, ogni giorno più di 2mila profughi arrivano in Europa via mare, il 58% dei quali sono donne e bambini. Nel 2015 più di un milione di persone hanno attraversato il Mar Mediterraneo. Più di un milione e mezzo hanno richiesto asilo. Donne e ragazze profughe sono spudoratamente trafficate, violentate e sessualmente aggredite da europei come forma di “pagamento” per i documenti o il viaggio. Il commercio abietto di mercanti senza scrupoli ha fatto sparire 10mila bambini profughi.
Ci troviamo di fronte alla distruzione di un importante e vasto patrimonio umano, naturale, culturale e ambientale, che viene sostituito dal terrore, da instabilità e insicurezza generate dal terrorismo, come effetto della destabilizzazione e dell’ingerenza militare e politica degli Stati Uniti e dei loro alleati in paesi sovrani. L’instaurazione di un nuovo colonialismo è il piano di ampi settori di destra che non badano ai mezzi pur di controllare le risorse energetiche e le altre risorse esistenti in questi paesi.
Le donne si muovono certe che il futuro si costruisce con loro e mai senza di loro. Il Futuro e la Pace richiedono un movimento di donne forti e unito contro questo stato di cose. Siamo certe che è possibile compiere ulteriori passi nella trasformazione del mondo, un mondo di uguaglianza e di pace, giustizia sociale, senza le quali non ci sarà sviluppo sostenibile e la nostra vita sarà destinata al disastro e alle guerre di rapina innescate sotto l’egida degli Stati Uniti d’America, dalla NATO e dai suoi alleati.
Negli ultimi anni, con le politiche di austerità imposte dal FMI, BCE e dell’UE, ai paesi considerati più dipendenti, le disuguaglianze e gli squilibri sono stati esacerbati, peggiorando la vita delle persone e deteriorando il tenore di vita delle donne. Ciò nonostante, le donne hanno combattuto contro austerità e servilismi e hanno trovato risposte.
Per l’MDM, raggiungere uno sviluppo durevole e sostenibile, obiettivo delle Nazioni Unite fissato per il 2030, implica ridurre i rischi di disastri naturali e potenziare e qualificare le risorse naturali e umane; mettere fine alla fame e alla povertà, che sono anche le cause di guerre e conflitti armati; e garantire l’autonomia delle donne e la sovranità dei popoli. Quindi, in questo 8 marzo 2016 da tutti i governi a livello internazionale e nazionale esigiamo che si ponga fine a:
• Le violenze fisiche, psicologiche e sessuali contro donne e bambini, la violenza domestica, le molestie morali e sessuali sul luogo di lavoro e per le strade; la violenza sessuale nelle zone di guerra;
• La ciber-criminalità;
• La povertà, un grave affronto alla dignità umana;
• La svalutazione del lavoro delle donne, il lavoro precario e la violazione dei diritti, minacciati dalla flessibilità e deregolamentazione dei rapporti di lavoro;
• La discriminazione salariale;
• Il razzismo e la xenofobia e tutte le forme di fascismo e neonazismo, in aumento in Europa, così come il terrorismo, attuale arma dell’imperialismo, che investe il Medio Oriente e si espande in tutto il mondo.
L’8 marzo è giornata internazionale di solidarietà. La solidarietà con e tra le donne e i popoli implica la difesa della cooperazione e l’aiuto reciproco, la pace, la soluzione pacifica delle controversie e il diritto all’autodeterminazione.
In questo contesto, l’MDM esprime con forza la sua solidarietà alle donne di Palestina e Sahara Occidentale, vittime di occupazione, aggressione coloniale e imperialismo da decenni, e denuncia il silenzio complice della comunità internazionale, nei confronti delle violazioni da parte di Israele e Marocco delle molteplici risoluzioni delle Nazioni Unite a favore dell’autonomia, l’autodeterminazione e l’indipendenza di questi paesi.
Il MDM esprime la propria solidarietà a tutte le organizzazioni della WIDF e le altre che lottano nei loro paesi per la libertà, l’autodeterminazione, l’uguaglianza e la pace, contro i blocchi economici e le ingerenze imperialistiche, in una sfida permanente agli istigatori di guerre, ai signori dell’imperialismo militarista, che, mossi da interessi di sfruttamento delle risorse naturali e di dominio, occupano i territori, umiliano e offendono donne e bambini, li condannando a vivere nella fame, nella povertà, nelle malattie, nel sottosviluppo e nella soggezione ad aggressioni sessuali e molti altri crimini di guerra che offendono in modo particolare le donne. Denunciamo la violenza sessuale contro le donne come arma e strategia di guerra inaccettabile in qualsiasi parte del mondo, e non ci facciamo tentare dal discorso militarista secondo cui “le donne sono agenti di pace nelle situazioni di guerra”.
Gli arretramenti, che stiamo vivendo in Portogallo e in Europa e le nuove forme di sfruttamento delle donne, richiedono a tutte noi sempre più impegno, il coraggio e la determinazione di metterci alla testa di azioni collettive generatrici di un movimento di protesta e ripudio più forte, più consapevole e partecipativo, ma contemporaneamente operatore di trasformazione di questa società in cui l’ingiustizia regna e l’ipocrisia nutre e addormenta molte coscienze, a volte anche quelle più attente.
La FDIM, che ha commemorato il 70 ° anniversario della sua fondazione lo scorso dicembre, celebra quest’anno la giornata internazionale della donna mentre si prepara per il suo XVI Congresso, che si svolgerà dal 14 al 16 settembre 2016 a Bogotà, in Colombia. Sarà un momento di grande partecipazione di donne provenienti da tutto il mondo, una manifestazione di grande vitalità della nostra organizzazione. L’MDM, affiliata alla FDIM, da sempre sostiene i principi di pace, di dignità della donna e di solidarietà umana.
A tutte e tutti diciamo in questo 8 marzo 2016: “Le donne si muovano! Levino la voce! Chiedano un nuovo mondo in cui le donne non vengano più sfruttate né discriminate”. La FDIM e le sue organizzazioni affiliate, tra cui noi dell’MDM in Portogallo, hanno un ruolo chiave nella trasformazione sociale e nella costruzione della società giusta e solidale che noi sogniamo.
Unite e disposte a lottare, le donne del presente e del futuro, con il Movimento delle donne in Movimento, con l’MDM e una FDIM più forte, il mondo sarà anche nostro.

Femministe e donne d’Europa – Alzatevi contro la follia patriarcale e capitalista!

Dichiarazione di EL-FEM (Rete Femminista della Sinistra Europea) – 8 marzo 2016 

Traduzione a cura di Ada Donno

Come Rete Femminista della Sinistra Europea cogliamo l’occasione della Giornata internazionale della donna, una tradizione socialista da 105 anni, per protestare contro il crescente deterioramento delle nostre società, sia nei paesi in cui viviamo che sull’intero pianeta che abitiamo. Ciò che Rosa Luxemburg e Clara Zetkin dissero 100 anni fa, cioè che le borghesie europee cercavano di corrompere le classi lavoratrici dei propri paesi per ottenerne il consenso alla guerra e a un ordine economico mondiale ingiusto, promettendo di condividere con loro il bottino e i frutti di un sistema globale di sfruttamento, è vero oggi come lo era allora.

La ricchezza di cui godiamo in Europa, basata com’è sullo sfruttamento di persone e risorse in altre parti del mondo, va ridistribuita su scala nazionale, europea e globale.

E va ridistribuita tra i sessi. Ovunque nel mondo, le donne sono la componente più povera delle loro rispettive società, anche se faticano fino a tre volte di più degli uomini. Ma il nostro lavoro non è valutato quanto quello degli uomini. Gravate del lavoro di cura non retribuito o mal pagato, considerate mero sostegno del capofamiglia maschio, spesso le donne non possono vivere una vita propria economicamente indipendente.

Neppure in termini di genere l’attuazione di politiche di austerità in Europa, nel corso degli ultimi anni, è stata neutrale. Le donne vivono in situazioni di estrema precarietà del lavoro, sospinte nell’economia sommersa e in settori di lavoro nero in cui anche i loro diritti fondamentali di lavoratrici vengono calpestati. Anche i tagli drammatici allo stato sociale hanno portato a spostare sempre più sulle spalle delle donne il peso della cura dei familiari a carico. È per questo che chiediamo per noi un lavoro basato sul principio di “parità di retribuzione a parità di lavoro”, pensioni adeguate, condivisione del lavoro domestico e adeguato accesso alle prestazioni sociali.

Mentre la vita di un numero crescente di persone e le relazioni umane su questo pianeta sono strutturate per lo sfruttamento, la violenza e la guerra, coloro che hanno imposto e gestiscono questo sistema continuano a raccogliere i frutti del nostro lavoro, mettono in pericolo l’esistenza del nostro pianeta e cercano di modellare le donne ad immagine degli uomini. Allo stesso tempo, dato che la scarsità e il bisogno, la fame e la morte, la guerra e la guerra civile stanno diventando in misura crescente modi caratteristici dell’esistenza umana, sempre più persone sono lasciate a lottare per la mera sopravvivenza e a rivoltarsi l’una contro l’altra. Ciò non è degno di noi in quanto esseri umani. Ecco perché vogliamo richiamare l’attenzione sulle responsabilità di tale condizione globale, che non sono solo dei politici, ma anche dei capitalisti (finanziari) che acquisiscono i profitti e rastrellano dalla società le risorse di prima necessità, non per ultimo dalle donne. Solo la politica può cambiare la situazione e, se vogliamo che la nostra visione di un’altra Europa e un altro mondo si realizzi, come attiviste dobbiamo potenziare politiche che riflettano il nostro desiderio di pace, giustizia sociale ed economica, coesistenza responsabile degli esseri umani.

Come donne sappiamo che la violenza sessista è ovunque nelle nostre vite e si presenta in molte forme. L’intero sistema di violenza – strutturale, fisica, psichica – deve essere affrontato, e non solo affrontato quando i responsabili possono essere identificati come “uomini appartenenti a un’altra cultura”. Come femministe di sinistra ci rifiutiamo di essere manipolate per discorsi e politiche razzisti. Come femministe della Sinistra Europea chiediamo la fine totale del commercio delle armi, politiche estere europee di costruzione e mantenimento della pace.

Di fronte ai conflitti militari in corso e all’enorme disuguaglianza economica su questo pianeta chiediamo una politica di frontiere aperte per le persone che fuggono dal pericolo per trovare rifugio in Europa. Siamo solidali in particolare con tutte le donne che lottano per migliori condizioni di vita in tutto il mondo.

Come EL-FEM, ci rifiutiamo di essere parte di questa follia patriarcale e capitalista che distrugge sempre più vite umane – vite che sono state generate da donne – risorse naturali e solidarietà globale. Come femministe di sinistra siamo solidali con le donne di tutto il mondo.

Speciale 8 marzo

Anarkikka, 2014

 

Il “cadeau” del governo per l’8 marzo 2016! fino a 10 mila euro di multa per le donne che… (D.Lgs 8/2016)

dalla Casa delle donne di Torino

Abbiamo deciso di fare dell’8 marzo 2016 una buona occasione per rilanciare la protesta delle donne contro  il Decreto Legislativo 8/2016, quello che aumenta sino a 10 mila euro la multa per le donne che interrompono la gravidanza al di fuori del percorso previsto dalla Legge 194.

L’art. 19 della 194 prevedeva una multa di 100 mila lire (51 euro).

Nel 1980 una sanzione di 100 mila lire  non corrispondeva a uno stipendio medio mensile.

Ora la sanzione minima di 5.000 € ne fa almeno tre di stipendi;  10 mila euro, per molte donne sono lo stipendio annuo.

Con questa multa  si potrebbe avere l’effetto paradossale di incrementare l’utilizzo clandestino, per esempio,  del Misoprostolo  – Cytotec –  reperibile SENZA PROBLEMI  su internet con le istruzioni per l’uso.

E anche se le cose andassero male e si dovesse andare in ospedale,  ben difficillmente  si potrebbe distinguerlo da un aborto spontaneo. Confidiamo proprio che  nessuno, nella pratica,  aprirebbe un procedimento.

Invece di cercare di capire perchè succede che alcune donne siano costrette a ricorrere  al fai da te, il nostro governo decide di introdurre questa sanzione. Qual’è la ratio?

E ancora: nella stesura di un decreto sulle depenalizzazioni non viene in mente a nessuno che c’è differenza fra materie normali e materie sensibili?

Abbiamo deciso di chiederlo direttamente ai firmatari di questo,  a dir poco  incredibile perchè  inaccettabile,  Decreto Legislativo inviando la lettera che trovate in allegato.

L’abbiamo inviata anche,  per conoscenza,  alle massime autorità dello Stato, ad alcune parlamentari e senatrici, agli organi di stampa.

Buon 8 marzo … comunque!

lotto a marzo